E’ stata inaugurata il 2 aprile 2019 l’installazione “A friend” di Ibrahim Mahama che sarà visibile sino al 14 aprile 2019.

L’installazione “A Friend” di Ibrahim Mahama è stata concepita appositamente per i due caselli daziari di Porta Venezia dall’artista ghanese , è curata da Massimiliano Gioni, è stata commissionata dalla Fondazione Nicola Trussardi e prodotta in collaborazione con Miart, Fiera d’arte moderna e contemporanea di Milano , nell’ambito dell’Art Week milanese 2019.

L’opera è composta da 1000 sacchi di juta, ricopre una superficie di 5000 metri quadrati, ha un perimetro di 85 metri per 25 di altezza (dimensioni di ciascun Casello Daziario), sono state utilizzate 9000 fascette per fissare i teli di juta e sono stati utilizzati 1000 metri di filo d’acciaio per costruire la struttura di fissaggio ai caselli.

La Fondazione Trussardi ha chiesto a Mahama di realizzare a Milano un’installazione su scala urbanistica che coinvolgerà interamente un luogo simbolo della città: il crocevia di Porta Venezia, una delle sei porte principali della cinta urbana, che sorge sullo stesso asse viario su cui erano sorte in precedenza le omonime porte di epoca romana, medievale e spagnola.

Per secoli Porta Venezia è stata per Milano la Porta d’Oriente, segnando il confine che delimitava il territorio urbano rispetto alla campagna, luogo che storicamente ha contribuito a definire la topografia di Milano e la relazione tra la città e il mondo esterno, ricorrente tanto nella vita quanto nelle cronache: dall’ingresso della peste che devastò la città con l’epidemia del XVII secolo, passando per le descrizioni nelle pagine de I Promessi Sposi, fino ad arrivare ai quartieri multietnici che oggi si articolano intorno a questo snodo fondamentale.
L’opera “a friend” vuole innescare una riflessione sul concetto stesso di soglia, quel luogo di passaggio che definisce l’interno e l’esterno, il sé e l’altro , l’amico e il nemico.

L’artista, come avvenuto anche in passato in altre capitali d’arte, anche a Milano avvolgerà i caselli neoclassici di Porta Venezia con sacchi di juta, creando una seconda pelle che conferirà ai due edifici una nuova identità.
Saremo quindi chiamati a riguardarli non più come semplici monumenti, ma alla luce della loro origine storica e della loro funzione simboli ed economica come luogo di scambio commerciale.
Rivolgendosi a tutte le persone che quotidianamente abitano e frequentano Milano, Mahama metterà in scena in uno snodo nevralgico per la viabilità cittadina uno spettacolo temporaneo capace di confrontarsi con il passato e il presente.
L’opera di Mahama sembra anche ricollegarsi esplicitamente agli interventi urbanistici dell’artista Christo, che negli anni settanta aveva impacchettato i monumenti di Leonardo da Vinci e a Vittorio Emanuele rispettivamente in Piazza della Scala e in Piazza Duomo.

In quegli anni le azioni di Christo sembravano criticare il mondo dei consumi, oggi le “dimostrazioni civili” come le descrive l’artista raccontano un mondo assai più complesso di tensioni globali.

L’artista , attraverso la ricerca e la trasformazione dei materiali indaga su alcuni dei temi più importanti della contemporaneità: la migrazione, la globalizzazione e la circolazione delle merci e delle persone attraverso i confini e le nazioni.

Le sue installazioni su larga scala impiegano materiali raccolti da ambienti urbani, come frammenti architettonici, legno, tessuti e in particolare, sacchi di juta che vengono cuciti insieme e drappeggiati su imponenti strutture architettoniche.

Come i sacchi americani usati per la distribuzione in Europa degli aiuti alimentari del piano Marshall furono probabilmente alla base dell’ispirazione di Alberto Burri, così i sacchi di Mahama sono elementi fondamentali della sua ricerca: simbolo dei mercati del Ghana, sono fabbricati in Asia e importati in Africa per il trasporto su scala internazionale di merci alimentari e di vario genere (cacao, fagioli, riso e anche carbone).


Strappati, rattoppati, marcati con segni vari e coordinate, i sacchi con le loro drammatiche ricuciture raffazzonate diventano garze che tamponano le ferite della storia, simbolo di conflitti e drammi che da secoli si consumano all’ombra dell’economia globale.
I sacchi di Mahama racchiudono allo stesso tempo un significato più nascosto che riguarda la forza lavoro che si cela dietro la circolazione internazionale delle merci.
Il sacco di juta, spiega l’artista , “racconta delle mani che l’hanno sollevato, come dei prodotti che hanno portato con sé, tra porti, magazzini, mercati e città. Le condizioni delle persone vi restano imprigionate, lo stesso accade ai luoghi che attraversa, per assemblare i sacchi, spesso l’artista collabora con decide di migranti provenienti da zone urbane e rurali in cerca di lavoro, senza documenti , senza diritti, vittime di una esistenza nomade e incerta che ricorda le condizioni subite dagli oggetti utilizzati nelle proprie opere.

L’opera a Friend di Ibrahim Mahama fa parte di una serie di incursioni realizzate dal 2013 dalla Fondazione Nicola Trussardi in occasione di Miart: una serie di progetti speciali, mostre temporanee, performance e interventi pop-up che hanno portato a Milano artisti internazionali tra cui Jeremy Deller, Sarah Lucas, Gelitin Darren Bader e Stan VanDerBeek.

Video della conferenza stampa